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27 settembre 2013

Anna


Anna si stava interrogando sul senso di quella farsa.
Guardava oltre il vetro della finestra, giù su quella sabbia scura e quel mare piatto.
Guardava l'alone introno alle sue mani, appoggiate a quel vetro, piccole e curate.

Lui era andato in bagno. Sentiva l'acqua della doccia scorrere.

Si stava chiedendo perchè avesse accettato di vederlo. Ma in fondo lo sapeva.
Era stata colpa di un brivido, quella fame di appartenenza che le mordeva il ventre da anni.
Lui era stato bravo. L'aveva corteggiata con calma e pazienza, infarcendole la testa di fantasie. Era partito soft, senza fretta, facendo la parte dell'uomo fermo, deciso. Ma comprensivo, seducente.

E lei si era lasciata abbindolare. Aveva seguito quella scia di complimenti e di frasi ad effetto che lui le ricamava attorno. Si era lasciata conquistare dal mistero, da quei misurati cenni di tenerezza, da quel sentirsi desiderata e voluta nonostante i suoi spigoli.
Lui era stato attento. Aveva studiato le sue risposte, le sue parole, le sue maschere e piano piano aveva fatto saltare le sue resistenze fingendo di conoscerla, capirla, amarla, volerla.

Lei aveva bevuto la distanza dalla sua città a quello svincolo con un'eccitazione viva e palpabile. Non riusciva a capacitarsi di avere finalmente trovato quello che da sempre andava cercando. Un uomo che la capisse senza nemmeno doverla vedere. Un uomo che anticipasse le sue mosse, raccontandole il perchè le faceva. Che le facesse sentire che lei era dentro lui da sempre, che era una cosa contro cui non si poteva far nulla. Se non viverla.

E poi.

Era bastato un suo sguardo per distruggere tutti quei mesi, l'intero castello si era sbriciolato dentro i suoi occhi che la soppesavano come fa un commerciante di bestiame ad una fiera.
Quello sguardo senza decenza che le aveva sporcato l'anima.
Sapeva quello che avrebbe dovuto fare. Voltarsi su quei tacchi troppo alti che aveva messo per lui e tornare alla sua macchina.
Invece, il fatto che lui, così bello, così sicuro, l'avessa scelta, le leccava la sua ferita d'amore più che la cocente umiliazione dell'illusione.

Era salita su quella macchina affamata di un bacio, una carezza, un sorriso.
Lui l'aveva guardata, le aveva biascicato addosso qualche parola di apprezzamento e aveva messo in moto con un sorriso da vincitore su quelle labbra tirate.
Era bello si. Ed elegante. Addirittura ricercato. Eppure i suoi occhi rivelavano l'essere rozzo che gli si agitava dentro.
Lei stava lì, impacciata, le mani in grembo. Quello smalto che adesso le sembrava eccessivo. 

L'albergo era anonimo. Un edificio sul nulla. Un parallelepipedo su quelle passeggiate che d'estate brulicano vita e d'inverno riflettono squallore.
Lui era entrato, senza cederle il passo, senza cederle nemmeno un pensiero, con quel modo da uomo vissuto. Aveva soppesato la stanza con la stessa freddezza con cui poco prima aveva soppesato lei. Aveva lanciato la giacca sulla sedia, si era allentato la cravatta e l'aveva guardata, leccandosi le labbra.

Anna aveva avuto un moto di disgusto. Era lì, impalata, in quella camera anonima e sentiva freddo. Si sentiva stupida. Stupida e banale. Uguale alle altre mille che prima di lei erano state in una stanza con lui. Carne per un balletto. Carne per il compiacimento del cacciatore. Che squallore.

Anche la sua voce le era parsa sgradevole. Eppure al telefono non era così. Ma dal vivo, impastata a quello sguardo, era troppo melliflua. Falsa.

"Vado in bagno. Tu preparati"

Preparati? Che cazzo può voler dire "preparati"? Togliti i vestiti, vuol dire. Fatti trovare bagnata che facciamo prima, vuol dire. 

L'acqua scorreva. Il cielo era basso. Anna si sentiva soffocare.
Scese dai tacchi, rovistò nella borsa che si era portata appresso e prese le ballerine.
Lui uscì dal bagno in quel momento. Una nuvola di vapore e profumo di bagnoschiuma da motel.
Si incupì.

"Che fai combinata così? Per come ci eravamo conosciuti credevo ti avrei trovata in un'altra maniera.."

Anna sorrise. Infilò il tacco 12 in borsa. 

"Già"

E danzando sui suoi passi infilò la porta, lasciandolo lì, con la mandibola disarticolata ed un principio di erezione a riflettere sul perchè di quella farsa.

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